DADA!!
Few decades after the experiments of Niépce and Daguerre, the spread of photography begun to take away from painting (and sculpture) the exclusive management of the image: the monopoly of the ‘manufactured’ vision, thanks to which the highest and most powerful classes had always bestowed on the technological, creative and selective caste of artists the privileges (also economic) that sometimes ‘even’ included the entry into the great courts.
As a result, after the half of the nineteenth century, the young and ambitious ‘best minds’, the restless and creative superintelligences with a thirst for success started to consider the artistic career unrewarding and gradually occupied other sectors deemed socially and financially more fulfilling. So ‘art’ began to lose much of its former vigour and its ranks filled with holes like a Swiss cheese, so much so that not even Courbet or Burn-Jones could fill them.
It was then that many mediocre intelligences, many wishful minds of craftsmen full of ambitions, yet without any will to work hard, rushed to occupy those holes still smelling of elite: “Ahhh!… Finally becoming artists!… Not muche was needed… It’s a stuff for anyone…”.
And, like dills in spring, the Pissarro, the Dufy, the Matisse, the Cezanne and the endless hosts of clumsy vanguardists appeared: cubists, futurists, suprematists, abstractists, until dadaism, the most boisterous birthing of the école de Paris, the deformed shrub incensed as a tree of life and soon abundantly watered by the deleterious global iconoclast finance. Dadaism, the most radical and destructive of the historical avant-gardes, from which the global cretinism came to life just after the World War Two.
Buffalmacco
DADA!!
Già qualche decennio dopo gli esperimenti di Niépce e Daguerre, il dilagare della fotografia aveva cominciato a sottrarre alla pittura (e alla scultura) la gestione esclusiva dell’immagine: il monopolio della visione ‘manufatta’ grazie al quale le classi più alte e potenti avevano da sempre elargito alla tecnologica, creativa e selettiva casta degli artisti i privilegi (anche economici) che a volte arrivavano a includere ‘nientemeno che’ l’accesso alle grandi corti.
Di conseguenza, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, le giovani e ambiziose ‘menti migliori’, le superintelligenze inquiete e creative assetate di successo iniziarono a considerare la carriera artistica oramai poco ‘rampante’, e via via presero a occupare altri settori socialmente e finanziariamente più appaganti. Così l’arte cominciò a perdere gran parte del suo antico vigore e i suoi ranghi si riempirono di buchi come una groviera, tanto che nemmeno i Courbet o i Burn-Jones riuscivano riempirli.
Fu allora che tante intelligenze mediocri, tanti velleitari cervelli d’artigiani pieni d’ambizioni e senza voglia di lavorare si precipitarono a occupare quei buchi, ancora odorosi d’elite: “Ahhh!… Finalmente artisti!… E che ci voleva… È roba per chiunque…”.
E come gli aneti a primavera spuntarono i Pissarro, i Dufy, i Matisse, i Cezannes e le interminabili schiere d’impediti avanguardisti storici: cubisti, futuristi, suprematisti, astrattisti, giù giù fino ai dadaisti, i più sguaiati rampolli della école de Paris, l’ arbusto deforme incensato come albero della vita e ben presto innaffiato abbondantemente dalla deleteria finanza iconoclasta globale. Il dadaismo, la più radicale e distruttiva delle avanguardie storiche da cui nel dopoguerra ha preso vita il cretinismo globale.
Buffalmacco
